Bridgerton, una serie moderna nella Londra del 1800

Shakeriamo insieme una buona dose di Gossip Girl ai tempi di Jane Austen e un pizzico di romanzi Harmony e daremo vita al fenomeno del momento: Bridgerton, la nuova serie tv di Netflix, basata sui libri di Julia Quinn e prodotta da Shonda Rhimes, che ricorderete senz’altro per averci dato Grey’s Anatomy, Scandal e il tanto adorato How To Get Away with a Murder.


Grandi linee per i profani, la storia racconta le vicende della famiglia Bridgerton in una Londra del lontano 1800. Famiglia formata da madre vedova e molti figli che tentano di mantenere la loro posizione attraverso il matrimonio. E indovinate, si da il caso che sia iniziata proprio la stagione dei matrimoni per l'élite inglese.

Mi sembra chiaro fin da subito che la trama non tiene conto del contesto storico e sociale nel quale è stata costruita. Infatti affronta tematiche piuttosto moderne per essere ambientata negli anni d'oro della casta inglese; i temi ricorrenti in tutta la storia sono le differenze razziali - data dall'ingresso di una regina di colore - e le molte declinazioni dell'emancipazione femminile - andiamo dall'avere un posto in società e una considerazione culturale all'autoerotismo. 


Non voglio negarlo, questo rappresenta uno dei punti forti della serie, insieme ad una trama sempre ritmata. Il ritmo non subisce mai dei contraccolpi per come viene raccontata, senza contare che il tutto è tenuto ben saldo dalla narratrice: Lady Whistledown, autrice di un phamplet gossipparo che ci ricorda molto la voce narrante di una certa serie tv cult. 


Ssssh XO XO G.G.


Senza dubbio rappresenta uno dei personaggi più intriganti della serie, e l'unico che ci riporta anche negli anni d'ambientazione, ovvero parliamo di una donna che usa uno pseudonimo (non maschile in questo caso) ma tale da incarnare l'emancipazione femminile da cui prendere esempio.


Ciò che non ho apprezzato in modo particolare, insieme alle musiche pop che ho trovato bellissime negli arrangiamenti ma stonate per l'ambientazione, è stata una struttura sì ritmata, come dicevo, ma abbastanza prevedibile. Insomma, sapevamo cosa sarebbe successo prima ancora di vederlo e questo sta succedendo in troppe serie della piattaforma che reputo scontate, piene di cliché e stereotipi, spesso esagerate per il modo in cui si cerca di porre l'attenzione su tematiche di valore che spesso trovo anche messe in ridicolo.

Trovo che la serie potesse dare molto più, approfondendo la storia dei personaggi invece che lasciarli lì, un po' al loro destino, come se fosse segnato a metà e lo spettatore dovesse darne la sua interpretazione. Ammirevole lo sforzo, forse, ma si confà più ad una stesura letteraria più che televisiva. 

Probabilmente i pezzi mancanti sono dovuti alla scelta, ennesima incomprensibile della piattaforma, di voler ridurre le serie dai canonici 23 episodi a mini serie da 10. 

Netflix, non puoi avere trame avvincenti ed evoluzione di personaggi in 10 episodi...lo capisci pure tu, no?


Comunque, io porrei grande attenzione sulla nota più bella, ciò che ha permesso a tutti noi che lo abbiamo visto di arrivare fino alla fine. Siori e Siore, facciamo un grande applauso a quel gran pezzo d'uomo del Duca di Hastings!





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