I can't be a hero without you

L'altra sera, presa da mille pensieri, mentre passavo un po' di tempo riguardando, per l'ennesima volta, il mio telefilm preferito - parlo di Arrow -  ho scritto una piccola fanfiction subito dopo l'ultima puntata, quella prima della pausa natalizia.  Come al solito l'ho inserita nelle mie storia su un sito in cui scrivo spesso ma credo che, il modo migliore per confrontarmi e iniziare ad uscire realmente dal mio guscio, sia quello di inserirla anche qui sul mio blog. 


I CAN'T BE A HERO WITHOUT YOU

Sentivo uno strano ronzio nelle orecchie. Tutto intorno a me si muoveva lento come se io non fossi nemmeno presente, come se guardassi tutto esternamente. Fu uno strano calore sulla mano a riportarmi alla realtà ed è stato in quel momento che mi abbassai in direzione di quel peso che era adagiato sulle mie gambe. Era Felicity. Aveva gli occhi chiusi ed un rivolo di sangue le usciva dalla bocca ma non era quello che mi fece rabbrividire. Guardai in direzione del calore viscoso che sentivo sulla mano e la vita, quell'enorme pozza di sangue che si estendeva con una rapidità indescrivibile aveva inzuppato tutto il lato destro del suo cappotto e gran parte del mio vestito.
"No, no, no" urlai tra i denti trattenendo l'aria il più possibile. Iniziai a muovere le mano come un disperato alla ricerca di quel fottutissimo telefonino per chiamare qualcuno, chiamare i soccorsi per tornare ad abbracciare la mia Felicity inerme sul ciglio della strada.

Sentivo un chiacchiericcio conciso, vedevo persone correre davanti a me portandosi dietro la barella, una flebo e urlando parole incomprensibili a chi di medicina non ne capiva. Forse ho dato un paio di spallate a qualche passante, lì nel corridoio, non ricordo bene. 
"Signor Queen, dobbiamo entrare in sala operatoria, oltre questa porta non può venire" mi disse qualcuno rapidamente e con voce energica. Spalancai gli occhi ma non riuscii nemmeno a replicare che tutti erano già spariti oltre la porta bianca. Mi portai le mani al viso poggiandolo con tutto il peso che esse potevano sostenere. 
"Oliver, Ollie!" urlò Thea, credo fosse lei ad avermi chiamato prima di saltarmi alle spalle insieme a Dig e poco dopo Laurel.
"Che è successo?" mi chiese il mio amico, il nostro amico. Quello che con noi ne aveva passate davvero di tutte i colori. Aveva dovuto salvarmi la vita un numero di volte che non riesco a conteggiare eppure nessuno di noi due avrebbe mai immaginato che per una volta, su di un letto d'ospedale, sarebbe finita Felicity. Noi l'avremmo sempre protetta. Eppure non ci siamo riusciti. Io non ci sono riuscito.
"Io, io..." Vigevo in uno stato confusionale che spaventò persino me. Mia sorella mi prese per mano, quelle che ancora avevano il sangue di Felicity sopra e mi portò a sedere su una delle poltrone nella sala d'attesa.
"Vi hanno teso un'imboscata?" chiese calma, cercando di trattenere le lacrime. Forse lo faceva per me, per se stessa, questo non lo so. Annuii.
"Hanno iniziato a sparare verso la limousine, il...il conducente era morto e se fossimo rimasti lì, forse, lo avremmo raggiunto". Troppo tardi. Una lacrima scese sul viso e prese il sapore amaro dolce del sangue, del suo sangue.
Spalancò gli occhi senza proferire parola, mi abbracciò cercando di trasmettermi tutto il suo calore, tutto il suo amore, cercando anche di dirmi che tutto sarebbe andato bene perché la donna che avevo scelto stesse al mio fianco era una tra le più forti che avessimo mai conosciuto eppure questo non mi tranquillizzò, non mi diede sollievo nemmeno per un attimo. Cosa avrei fatto senza di lei? Come avrei potuto vivere con la consapevolezza che non avrei mai rivisto il suo sorriso? Che non avrei più sentito il suo farfugliare senza senso? Senza le sue terribili battute? Senza di lei al mio fianco? Fu solo quando questi pensieri avevano preso forma reale, consistente, perché erano pesanti, più pesanti di qualsiasi altra cosa potessi imbracciare, che ricambiai il suo abbraccio lasciando libera qualche lacrima.

Le ore passarono con una lentezza disumana, non potevo avere notizie, nessuno dei medici era uscito un solo attimo a fare capolino ed il senso di nausea finì soltando quando dopo, circa otto ore d'intervento, un medico arrivò chiamando il mio nome togliendosi la mascherina dal viso. 
Feci un respiro profondo e trattenni l'aria. L'ora del giudizio era arrivata ed io ero più spaventato di prima, del dubbio, del non sapere.
"La signorina Smoak è fuori pericolo, l'abbiamo riportata in stanza circa una mezz'ora fa e sta ancora dormendo, al momento sembra sia andato tutto nel verso giusto ma dobbiamo aspettare che si svegli e vedere".
L'aria uscì fuori con un fischio senza che potessi controllarla, avevo appena udito le parole più belle della mia vita addirittura più belle del 'si' che aveva pronunciato quella stessa sera alla mia domanda di matrimonio. Una gioia amara aveva attecchito alle viscere più profonde lasciandomi senza forze cadere sulla sedia.
"Quando posso vederla?" chiesi al medico prima che andasse via.
"Anche adesso" fu la sua risposta.

La guardavo inerme sul letto e tutto quello a cui riuscivo a pensare era il momento in cui si sarebbe svegliata e avrei potuto guardare di nuovo il suo viso, sorriderle e lei mi avrebbe risposto. Le presi una mano e contemplai il suo sonno per un lungo periodo fino a quando non le sussurrai un 'ti amo' stretto in un bacio.

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